martedì 19 aprile 2016

TURTLES recensito su Darkroom Magazine

A VIOLET PINE
"Turtles"
(T.a. Rock Records)
Time: CD (38:28)
Rating : 7
Secondo lavoro in studio per questo terzetto lombardo che annovera al suo interno membri già navigati provenienti da diverse formazioni (Ablepsya, Orient Express, Vipida), reduci da un interessante esordio come "Girl", maggiormente incentrato su sonorità trip-hop e minimal-elettroniche con qualche sbavatura post-rock di contorno. Opera melanconica e chiaroscurale, l'esordio sulla lunga durata si poneva come una prima metà del manifesto sonoro degli A Violet Pine, che trova in "Turtles", secondo full-length uscito per l'etichetta indipendente di Trani T.a. Rock Records lo scorso settembre, nuovo terreno fertile nel quale attecchire e ramificarsi in uno stilema in precedenza soltanto accennato e passato in sordina tra minimalismi elettronici e ritmati soliloqui emozionali. Album più dilatato ed atmosferico, "Turtles" viaggia principalmente su malinconiche ed ipnotiche pennellate chitarristiche prettamente influenzate dal post-rock di matrice italica (Giardini Di Mirò, Massimo Volume), un'attitudine alternative rock decisamente depressiva e vocalismi caldi ed emozionali. Ne sono un esempio pezzi come la title-track o la successiva "Last Year", accoppiata post-rock minimalista vorticosa e depressiva, o prove più brevi e ruvidamente psichedeliche come "Have Fun" e "Lucky When I'm Wrong", alle quali si aggiungono scelte stilistiche di vario genere all'interno delle restanti tracce. Basta pensare agli inserti elettronici e al crescendo noise della intro "The Game" o alle malinconie new wave del singolo "New Gloves". Nel complesso l'album viaggia lineare dentro ad un crepuscolo musicale avvolgente e tristemente efficace, per un concept sonico ben rappresentato nella copertina ad opera di Alessandra Antonucci riportante un carro trainato da un cavallo che fende un mare grigio e calmo, come le composizioni della triade lombarda che solcano e fendono un'oscura e generale attitudine dai contorni tristi, smuovendone il piatto ed infinito sembiante attraverso cristallini vortici post-rock assieme ad una ritmica collosa ed attufata che ne increspa la superficie.
Lorenzo Nobili

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