giovedì 4 ottobre 2012

A Violet Pine, la bella stagione dell'elettronica


Intervista su Barlettalife

Il progetto A Violet Pine nasce da un'idea di Beppe Procida, chitarrista e cantante degli Ablepsya, a metà del 2010, come percorso solista. A Violet Pine rappresenta un'evoluzione stilistica più intimista nella formazione del fondatore, e si completa nel 2011 con l'ingresso di Paolo Ormas (batteria, sequencer – Orient Express) e Pasquale Ragnatela (basso, piano, back voice). L'intenzione musicale di "A Violet Pine" è in contrasto con se stessa. Il marcato uso di sintetizzatori, sequenze, timbriche contemporanee, unite al tocco "umano" delle chitarre, sfocia in sonorità che abbracciano trip-hop, rock e influenze cantautorali in eguale misura. I testi, in lingua anglosassone, raccontano esperienze e sensazioni di protagonisti illusori, che parlano sempre in prima persona.

Il trio vanta una lunga esperienza live e diversi lavori discografici con le precedenti formazioni (Ablepsya, Orient Express, Vipida). Attualmente la band è impegnata nella produzione del primo disco "A Violet Pine", oltre che con diversi concerti dal vivo in giro per la Puglia (non ultimo la partecipazione alle finali provinciali e regionali di Italia Wave). Alle domande ha risposto Beppe Procida, ideatore del progetto "A Violet Pine".

Perché avete scelto il nome "A Violet Pine"?
«Il nome" A Violet Pine" è nato durante un viaggio in treno tra Cuneo e Torino nei primi mesi primaverili. Quei paesaggi sono distese infinite di vegetazione, e in quel contesto sono numerosi anche gli alberi di pino. Era imminente il tramonto e uno di questi pini assunse delle sfumature violacee. Era una cosa inusuale e così pensai "Perché no?". E poi suona bene».

Come definireste la vostra musica?
«La musica che proponiamo è elettronica con sfumature rock. E' chiaro che non abbiamo pregiudiziali verso altre influenze. Di recente abbiamo inserito anche parti di piano e ritmiche dub».

Che tipo di pubblico amate vedere sotto il palco?
«Non c'è un pubblico preferito. Qualsiasi persona abbia voglia di ascoltare la nostra musica, sia incuriosita dal progetto o vuole semplicemente rilassarsi, per noi va bene».

Mentre suonate, guardate in faccia il pubblico, per catturarne le emozioni?
«Sul palco siamo molto concentrati perché suoniamo tutti più di uno strumento. Paolo deve vedersela con batteria, pc e sequenze, Paky con il basso, il piano e la voce, il sottoscritto con chitarra, effetti vari e voce. Di conseguenza cerchiamo di coinvolgere il pubblico esclusivamente con la musica, non con gli sguardi, anche perché non siamo modelli».

Come e dove nascono le vostre canzoni? Scrivete prima il testo o la melodia?
«I pezzi vengono tutti scritti al computer, su drum machine o con registrazioni che poi ci scambiamo online e completiamo con idee comuni successivamente. Il processo compositivo è atipico perché nasce e si sviluppa a distanza. In seguito registriamo le voci, il piano o altri strumenti. Infine in sala prove arriviamo con dei brani in buona sostanza completi a cui aggiungiamo il tocco umano della strumentazione classica del rock».

Di cosa parlano le vostre canzoni?
«I testi descrivono episodi quotidiani nella vita di personaggi diversi. " Fragile", ad esempio, parla di un uomo che ha voglia di andare in un posto in cui possa trovare la serenità. "The girl who sets up fire" invece di una ragazza che si diverte ad adescare uomini».

Come nato il brano "Pathetic"?
«"Pathetic" sostanzialmente è il primo brano con cui ci siamo proposti al pubblico. Tutto è nato dalla prova di inserire tre batterie diverse e un solo basso in un unico pezzo. Il testo è incentrato su un individuo che si scusa col mondo per essere appunto "patetico". Dal vivo la resa è praticamente identica, malgrado i campionamenti, le linee di basso e di batteria si intrecciano con le parti elettroniche generando un vortice sonoro che sfocia in un finale noise. Non è una cosa semplice, soprattutto per una band come noi di soli tre elementi».

Com'è il rapporto col vostro pubblico (soprattutto femminile),durante i concerti?
«Il rapporto col pubblico in generale è divertente. Il pubblico femminile è uguale a quello maschile, siamo contenti che esistano ancora ragazze che non reputino l'andare a un concerto come un atto plebeo. Molti, incuriositi, chiedono ulteriori informazioni sul gruppo e dove possono ascoltare i brani, altri ci invitano a suonare in altre rassegne da loro organizzate, altri semplicemente applaudono e basta».

La musica è una consolazione, per voi?
«Più che una consolazione è uno spasso e un modo per stare insieme. Non crediamo più alla favola che si fa musica per esprimersi soprattutto in questa epoca storica, riteniamo che una persona che si affanna a cercare un posto di lavoro o a mantenere una famiglia con pochi mezzi che un musicista, sia molto più espressiva e abbia molto più di cui parlare».

Il formato CD sta scomparendo, ritenete che oramai sia divenuto un "supporto pubblicitario", o sia ancora un "supporto culturale"?
«Bisogna adattarsi ai tempi. Vero è il fatto che il compact disc è nella collettività il mezzo materiale di rappresentanza di una band, ma è vero anche che ormai la musica si compra su internet o si scarica. Per cui un gruppo che decide di pubblicare il proprio lavoro su CD lo fa unicamente per promozione. Noi stiamo alle ultime riprese prima del completamento del nostro album, ma non abbiamo ancora deciso su che formato lo pubblicheremo. Chissà, magari su musi cassetta».

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